43.

Da quattrocento metri di distanza neppure i progettisti e i costruttori avrebbero riconosciuto il Lady Flamborough. Il fumaiolo era stato modificato, ogni centimetro quadrato era stato riverniciato. Per completare la messinscena, lo scafo era striato di finta ruggine.

La sovrastruttura elegante, le finestre delle cabine e il ponte della passeggiata erano nascosti da grandi fogli di fibra, montati in modo da sembrare container.

Dove le strutture moderne della plancia non si potevano eliminare o nascondere, erano state mascherate con intelaiature di legno e di tela su cui erano dipinti oblò e boccaporti finti.

Prima che le luci di Punta del Este scomparissero a poppa, tutti i membri dell'equipaggio e i passeggeri erano stati divisi in squadre e costretti a lavorare sino allo sfinimento sotto la minaccia delle armi. Gli ufficiali, i direttori di crociera, gli steward, i cuochi e i camerieri e i marinai avevano dovuto lavorare di martello tutta la notte per montare i container prefabbricati.

Neppure gli ospiti VIP furono risparmiati. Il senatore Pitt e Hala Kamil, i presidenti Hasan e De Lorenzo, con i loro ministri e collaboratori, erano stati costretti a rendersi utili come carpentieri e verniciatori.

Quando la nave da crociera arrivò al rendez-vous con il General Bravo, i finti container erano al loro posto e la nave ostentava colori e configurazione quasi identici.

Dal bagnasciuga in su, il Lady Flamborough poteva passare facilmente per la portacontainer. Un'ispezione aerea avrebbe rivelato poche discrepanze. Solo un esame ravvicinato dal mare avrebbe permesso di scoprire le differenze più ovvie.

Il capitano Juan Machado e i diciotto uomini del General Bravo si trasferirono sulla nave da crociera dopo aver aperto tutte le valvole e i portelloni e aver fatto esplodere le cariche piazzate strategicamente in vari punti dello scafo. Con una serie di scoppi attutiti la nave portacontainer affondò nel mare fra gorgoglii di protesta.

Quando il cielo cominciò a schiarirsi a oriente, il Lady Flamborough stava procedendo verso la destinazione ufficiale del General Bravo. Ma quando arrivò a quaranta chilometri dal porto di San Pablo, in Argentina, passò oltre e continuò la rotta verso sud.

Il piano ingegnoso di Ammar aveva funzionato. Erano passati tre giorni e il mondo continuava a credere che il Lady Flamborough e i suoi illustri passeggeri fossero finiti in fondo all'oceano.

Ammar, seduto a un tavolo, segnò sulla carta nautica l'ultima posizione della nave. Poi tracciò una linea retta verso la destinazione finale e la indicò con una x. Con un sorriso soddisfatto, lasciò cadere la matita e accese una sigaretta Dunhill lanciando sbuffi di fumo sulla carta come un banco di nebbia.

Sedici ore, calcolò. Ancora sedici ore di navigazione senza che nessuno li inseguisse e la nave sarebbe stata nascosta al sicuro, dove nessuno avrebbe potuto scoprirla.

Il comandante Machado arrivò dalla plancia. Teneva in equilibrio sulla mano un vassoietto. «Vuole una tazza di tè e un croissant?» domandò in inglese.

«Grazie, comandante. Ora che ci penso, non ho mangiato da quando siamo partiti da Punta del Este.»

Machado posò il vassoio sul tavolo e versò il tè. «So che non ha dormito da quando siamo saliti a bordo il mio equipaggio e io.»

«C'è ancora parecchio da fare.»

«Forse dovremmo incominciare presentandoci ufficialmente.»

«So chi è lei, o almeno conosco il nome che usa», disse Ammar in tono indifferente. «Non m'interessano le biografie.»

«Davvero?»

«Sì.»

«Le dispiace informarmi dei suoi piani?» disse Machado. «A me non è stato comunicato nulla a parte l'ordine di trasferirci sulla sua nave dopo aver affondato il General Bravo. M'interesserebbe molto conoscere la prossima fase della missione, soprattutto il modo in cui i nostri equipaggi dovranno abbandonare la nave per sottrarsi all'arresto da parte delle forze armate internazionali.»

«Mi dispiace di aver avuto troppo da fare per illuminarla.»

«Questo potrebbe essere' il momento più adatto», insistette Machado.

Ammar bevve con calma il tè e finì il croissant prima di rispondere. Guardò Machado e restò impassibile.

«Non intendo abbandonare la nave, per ora», disse. «Le istruzioni che ho ricevuto dal suo superiore e dal mio sono: prendere tempo e ritardare la distruzione finale del Lady Flamborough fino a che avranno avuto la possibilità di valutare la situazione e sfruttarla a loro vantaggio.»

Machado si rilassò, guardò i freddi occhi scuri dell'egiziano sotto la maschera, e comprese che quell'uomo aveva il pieno controllo della situazione. «Nessun problema.» Prese la teiera. «Un altro po' di tè?»

Ammar gli porse la tazza. «Che cosa fa, quando non affonda le navi?»

«Mi dedico agli assassinii politici», disse Machado in tono discorsivo. «Esattamente come lei, Suleiman Aziz Ammar.»

Machado non poteva vedere la smorfia diffidente nascosta dalla maschera, ma non faticava a immaginarla.

«L'hanno mandata per uccidermi?» chiese Ammar. Fece cadere la cenere dalla sigaretta e spianò una minuscola pistola automatica apparsa come per magia nella sua mano.

Machado sorrise e incrociò le braccia tenendo le mani in piena vista. «Stia tranquillo. Ho l'ordine di collaborare con lei nella massima armonia.»

Ammar fece rientrare nella manica destra la pistola montata su un congegno a molla. «Come mai mi conosce?»

«I nostri capi hanno ben pochi segreti fra loro.»

Maledetto Yazid, pensò rabbiosamente Ammar. L'aveva tradito rivelando la sua identità. Non aveva creduto neppure per un istante alla menzogna di Machado. Una volta tolto di mezzo il presidente Hasan, Maometto reincarnato non avrebbe più saputo che farsene del suo sicario prezzolato. Ammar non intendeva confidare il suo piano di fuga all'assassino messicano. Si rendeva conto che la sua controparte non aveva altra possibilità che stringere un'alleanza d'interesse. Lo tranquillizzava la certezza di poter uccidere Machado in qualunque momento, mentre il messicano sarebbe stato costretto ad attendere fino a che ci fosse stata la garanzia della sopravvivenza.

Ammar conosceva molto bene la propria posizione.

Alzò la tazza. «Alla salute di Akhmad Yazid.»

Machado fece altrettanto. «Alla salute di Topiltzin.»

Hala e il senatore Pitt erano stati rinchiusi in una suite in compagnia del presidente Hasan. Erano sporchi e macchiati di vernice, troppo sfiniti per dormire. Avevano le mani piene di vesciche, i muscoli indolenziti per la fatica fisica cui non erano abituati. E avevano fame.

Dopo la convulsa trasformazione delle strutture esterne della nave da crociera, i sequestratori non avevano dato loro da mangiare. Per bere avevano a disposizione soltanto l'acqua del rubinetto. E per aggravare la situazione, la temperatura continuava a scendere e dalle ventole non arrivava aria calda.

Il presidente Hasan era steso su uno dei letti. Soffriva di una malattia cronica alla schiena, e gli sforzi di quelle dieci ore ininterrotte passate a chinarsi e a tendersi gli avevano causato dolori tremendi che cercava di sopportare con stoicismo.

Hala e il senatore non si muovevano: sembravano statue di legno. Hala era seduta accanto a un tavolo, con la testa fra le mani. Per quanto fosse scarmigliata, era sempre bella e serena.

Il senatore Pitt era sdraiato su un divano e fissava il lampadario. Solo il battito delle palpebre dimostrava che era vivo.

Finalmente Hala alzò la testa e lo guardò. «Se almeno potessimo fare qualcosa», disse con un filo di voce.

Il senatore si sollevò a sedere. Era ancora in buona forma, per la sua età. Era indolenzito dal collo ai piedi, ma il suo cuore batteva ancora regolarmente come quello di un uomo di vent'anni più giovane.

«Quel diavolo con la maschera è troppo furbo», disse. «Non ci dà da mangiare per tenerci in uno stato di debolezza. Tutti sono rinchiusi separatamente in modo che non possano comunicare e organizzare una contromossa. E lui e i suoi terroristi non hanno avuto contatti con noi da due giorni. È tutto calcolato per mantenerci in uno stato di impotenza e di nervosismo.»

«Non potremmo almeno tentare di uscire di qui?»

«Probabilmente c'è una guardia in fondo al corridoio, in attesa di uccidere il primo che riesce a sfondare una porta. E anche se riuscissimo a superarlo, dove potremmo andare?»

«Forse potremmo impadronirci di una scialuppa di salvataggio», suggerì Hala.

Il senatore scosse la testa e sorrise. «Ormai è troppo tardi per un tentativo del genere. Il numero dei sequestratori è raddoppiato da quando sono saliti a bordo gli uomini del mercantile messicano.»

«E se sfondassimo la finestra e lasciassimo una scia di mobili, lenzuola e tutto quello che possiamo gettare fuori bordo?» insistette Hala.

«Tanto varrebbe lanciare bottiglie con i messaggi. Le correnti li porterebbero a cento chilometri dalla nostra rotta prima di domattina.»

Il senatore scosse la testa. «Quelli che ci cercano non li troverebbero in tempo.»

«Senatore, anche lei sa bene che nessuno ci cerca. Tutto il mondo crede che la nostra nave sia affondata e che siamo tutti morti. A quest'ora tutte le ricerche saranno state interrotte.»

«Io conosco qualcuno che non desisterà mai.»

Hala lo guardò con aria interrogativa. «Chi è?»

«Mio figlio Dirk.»

Hala si alzò, si avvicinò zoppicando alla finestra e fissò il foglio di fibra che le nascondeva il mare. «Deve essere molto fiero di lui. È coraggioso e pieno di risorse, ma dopotutto è soltanto un essere umano. Non potrà mai intuire la verità dietro l'inganno...»

S'interruppe all'improvviso e scrutò attraverso una crepa che mostrava un tratto d'acqua. «C'è qualcosa che sta passando accanto alla nave.»

Il senatore si alzò e si affiancò a Hala. Riuscì a distinguere a stento diversi oggetti bianchi contro l'azzurro del mare. «È ghiaccio», mormorò sbalordito. «Questo spiega il freddo. Dobbiamo essere diretti verso l'Antartico.»

Hala si appoggiò a lui e gli nascose il viso contro il petto. «Nessuno potrà salvarci», bisbigliò rassegnata. «Nessuno penserà a venire a cercarci qui.»

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